FARE L'insegnante n.6/2019 - 2020

FARE L'insegnante n.6/2019 - 2020

Rivista bimestrale di Formazione e Aggiornamento professionale destinata a dirigenti e docenti delle scuole di ogni ordine e grado impegnati nel miglioramento dell'offerta formativa

Editoriale di Ivana summa  - “Riparti Scuola”: fare un salto di qualità

Giuseppe De Rita, nel suo ultimo contributo - Il lungo Mezzogiorno (Laterza 2020) - così scrive: “Non è l’economia che traina il sociale, ma il contrario; per fare sviluppo occorrono processi di autocoscienza e di autopropulsione collettiva, non interventi dall’alto...”. Nel seguito del suo ragionamento, il grande sociologo mette in evidenza la necessità che l’intervento pubblico incontri lo spirito di iniziativa delle popolazioni locali, superando “l’attendismo senza partecipazione.”Sono necessarie non le procedure, bensì processi di partecipazione collettiva, che vedano come co-protagoniste le forze locali. Insomma, per agire in modo efficace - il discorso del nostro sociologo riguarda lo sviluppo del Mezzogiorno nel secondo dopoguerra - lo sviluppo deve essere partecipato dal basso, creando una“cultura di comunità”. Le politiche centrali devono limitarsi alla visione strategica che è frutto di scelte in base alle quali emergono obiettivi definiti, il cui perseguimento va gestito dalle forze locali.

Se proviamo a fare nostro questo discorso e lo facciamo transitare sullo stato attuale del nostro sistema scolastico, rendiamo concreta l’analogia,a partire da un’opzione oggi irrinunciabile: se finora è stata l’economia a trainare il sociale, d’ora in poi bisognerà invertire la direzione di questo vettore. Con questa premessa, si può condividere il fatto che, per far ripartire la scuola, è necessario mettere in atto un processo di autocoscienza e autopropulsione collettiva, che noi abbiamo proposto come autoanalisi d’istitutoe porteremo avanti questo discorso durante la prossima annata della rivista, corredato dai necessari strumenti da sperimentare. Ma nel discorso di De Rita c’è un altro stimolo che siamo tenuti a raccogliere: il co-protagonismo delle popolazioni locali che, ovviamente, si riferisce alle istituzioni che sono sul territorio la cui cooperazione è, peraltro, voluta dalla legge: gli enti locali e gli istituti scolastici autonomi che, agendo insieme, di fatto creano senso di appartenenza e vere comunità, capaci di progettare e gestire il proprio futuro.

Eppure in questi mesi abbiamo assistito a un generale attendismo da parte delle scuole e dei loro dirigenti, ma anche delle amministrazioni locali e i loro responsabili politici. Le linee Guida - D. M. 26 giugno 2020. Adozione del Documento per la pianificazione delle attività scolastiche, educative e formative in tutte le Istituzioni del Sistema nazionale di Istruzione per l’anno scolastico 2020/2021 - hanno una funzione di indirizzo generale che, ovviamente, non può contenere indicazioni dettagliate perché é impossibile prevedere tutta la casistica. Insomma, è il territorio che deve fare le scelte più appropriate e fattibili, rispettando limiti e utilizzando opportunità: da una parte la scuola deve avere il coraggio di avvalersi delle numerose opportunità che offre l’autonomia scolastica recentemente ampliata dalla legge 107/2015, dall’altra gli Enti Locali - che sono i veri rappresentanti delle popolazioni locali - debbono svolgere le proprie funzioni, così come previste dagli artt. 138 e 139 del D.lvo n. 112/1998. Se le scuole e gli Enti Locali, insieme alle Regioni, hanno consapevolezza del proprio ruolo e del fatto che lo stesso implica leale collaborazione e concreta corresponsabilità, potranno accogliere facilmente quello che il Ministro dell’istruzione scrive nella sua “Lettera alla comunità scolastica”, sempre datata il 27 giugno 2020: “Perché la scuola è un tema che riguarda tutto il Paese e va affrontato senza divisioni e nella massima collaborazione e con spirito di reale condivisione. Quella di settembre sarà una scuola innovativa e aperta. Si dovranno organizzare nuovi spazi e riorganizzare quelli esistenti per garantire i distanziamenti e la sicurezza di tutti. Ma sarà anche una scuola che, reagendo all’emergenza, dovrà dare qualcosa in più ai nostri studenti. Penso ai patti di comunità con le realtà presenti sul territorio, che consentiranno di esplorare di più le opportunità che offrono, dai teatri ai musei. Sarà una scuola radicata nel presente, ma con lo sguardo rivolto al futuro, perché ogni pietra che metteremo in questa ripresa sarà la base su cui costruire la scuola di domani. Abbiamo la straordinaria occasione di puntare sul digitale, sulla formazione del personale scolastico, sull’innovazione della didattica e degli ambienti di apprendimento, sul miglioramento dell’edilizia scolastica. Ambienti di apprendimento che non devono essere intesi solo in senso fisico, ma come spazi mentali ed emotivi che incoraggino l’apprendimento collaborativo. La ripartenza del Paese non può che passare dunque da un nuovo slancio innovativo della scuola. La scuola di settembre sarà responsabile, flessibile, aperta, rinnovata, rafforzata. Flessibile nella valorizzazione delle potenzialità derivanti dall’autonomia scolastica, per la rimodulazione degli orari e delle classi,... che consentano di modificare le metodologie didattiche e siano funzionali a creare geometrie d’aula variabili, a facilitare la collaborazione tra gruppi omogenei ed eterogenei per competenze e livelli.”

Complici i media e i social, queste indicazioni sono state oggetto di contestazione da parte di tutti i soggetti che, nelle loro rivendicazioni, partono - ci sembra di capire - dal fatto che bisogna ritornare al funzionamento rigido del passato. Una sorta di “ordine istituito”: un’aula per ogni classe, l’ora di lezione scandita dalla presenza di un docente, l’orario rigido... . E questi mesi di chiusura degli edifici scolastici, di questa scuola che si è addomesticata entrando nelle case, che ha inseguito gli studenti e che ha sofferto di quelli che si è lasciata sfuggire, dove è finita? Pensa davvero di poter tornare al passato pensato come l’unico modo per formare i nostri giovani? E i docenti credono ancora di poter fare a meno di aggiornarsi, di entrare in una logica di formazione continua, di dover cooperare con i propri colleghi al di là delle ritualità collegiali.

Ambienti di apprendimento, competenze, lavoro laboratoriale e per gruppi, risorse del territorio come aule didattiche decentrate debbono restare ancora inerti, custoditi dalle norme che riguardano tutti i gradi ed ordini di scuola e che sono l’anima dell’autonomia scolastica e della sua continua capacità di innovazione, facendo ricerca e sperimentando. Se non ora, quando? Eraclito ci ha insegnato che “nulla èdurevole quanto il cambiamento”e, dunque, non possiamo ignorarlo, ma guidarlo.

Invito i nostri lettori a leggere in quest’ottica i contributi contenuti in questo numero, di chiusura di quest’anno scolastico incredibilmente diverso e foriero di scenari sociali che forse potevamo prevedere. Tra gli altri, segnalo il contributo di G. Sacchi che ci richiama all’autonomia scolastica e al decentramento decisionale che comporta, di concerto con le regioni e gli enti locali. E questo in tempi in cui una certa politica, fondata sui sondaggi, predica la necessità di accentrare tutto al governo centrale, in nome di una presunta equità basata sulle norme applicate e non su quelle partecipate. Per questi motivi abbiamo intervistato la sindaca Isabella Conti che, nella sua San Lazzaro di Savena, ha sperimentato con gli istituti scolastici presenti sul territorio, un modo diverso di fare comunità, basato su un’alleanza formativa che crea davvero comunità dal basso.

Sul versante interno alla scuola, i contributi di Lo Perfido e di Ritella, insieme a quello di Accorsi, puntano alla riscossa professionale dei docenti: come possono innovare la didattica se non sperimentano nella formazione in servizio le modalità didattiche da praticare poi con gli alunni? E ancora, come insegnare le competenze per l’apprendimento permanente se non sono gli stessi insegnanti a doverle acquisire in prima persona? “Il necessario cambiamento richiede che le Competenze chiave siano non solo una ‘tecnicalità’ professionale, ma un requisito pregiato di competenza dei Docenti e degli altri operatori, per garantire le condizioni per un approccio flessibile e creativo alla formazione, capace di affrontare difficoltà e risolvere problemi, di operare con pensiero divergente, di garantire lavoro in team. A partire da un cambiamento culturale, che comporta il riconoscimento del valore formativo e della centralità delle Competenze chiave nella formazione del cittadino e del lavoratore”.

La parola adesso passa alla scuola perché il futuro è nel presente e non si possono formare le nuove generazioni se la scuola sa innestare soltanto la marcia indietro perché ha paura del nuovo che non conosce ma che conoscerà comunque e non saprà affrontarlo. Se mettiamo in rete le nostre intelligenze, come ci invita a fare il libro recensito da Cristina Gubellini, dobbiamo convenire che “L’intelligenza collettiva si esprime nei momenti in cui il gruppo collabora, quando ogni persona ha la possibilità di condividere le proprie esperienze, conoscenze, punti di vista, valori. In questi momenti la comprensione e le soluzioni arrivano come un processo collettivo dove il contributo di tutti si intreccia in qualcosa che, come abbiamo detto, è maggiore della somma delle parti”.

Come ci suggerisce De Rita “per fare sviluppo occorrono processi di autocoscienza e di autopropulsione collettiva, non interventi dall’alto...”. X


 

 

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