EDITORIALE FARE L'INSEGNANTE N. 1 SETTEMBRE 2023

Cambiare i paradigmi della valutazione

Editoriale di Ivana Summa

Abbiamo voluto dedicare la rivista alla questione della valutazione scolastica perché riteniamo  che  sia davvero giunto il momento di “rovesciare il tavolo” e rivoluzionare  la valutazione scolastica.

Il perché è detto nelle recensioni di due libri – il primo, Progettare un curricolo per competenze: la valutazione al centro,  che abbiamo scritto  nel 2022 con Loredana De Simone, il secondo di Cristiano Corsini, La valutazione che educa (FrancoAngeli, 2023) – e nel contributo di B.L. Castrovinci  che ben sintetizza le pratiche scolastiche in uso nelle scuole che  sono spesso illegittime, irrazionali, inefficaci. Come afferma l’autore, dirigente scolastico con esperienza  in un Istituto Comprensivo e in un Istituto superiore, la valutazione nelle nostre scuole si ispira ancora alle teorie comportamentiste, secondo le quali  “l’aspetto meramente misurativo dei livelli di apprendimento raggiunti diventa condizionamento operante (Skinner, 1953), un rinforzo positivo o negativo, quindi da utilizzare come leva motivazionale per recuperare gli studenti fragili o stimolare i più svogliati a studiare”. Come è noto, la teoria skinneriana – definita come condizionamento operante – si basa sull’ipotesi che il comportamento umano, così come quello animale (e i suoi esperimenti si basano proprio sugli animali), rappresenta l’esito delle   conseguenze immediate delle azioni che si configurano o come premi (rinforzo positivo) o come punizioni (rinforzo negativo). I buoni voti e, comunque, la funzione stessa della valutazione innestata nella didattica tradizionale, servono per  premiare i bravi che si sono impegnati, mentre i cattivi voti sono necessari  per  indurre  quella frustrazione da senso di fallimento, per evitare la quale gli studenti dovrebbero impegnarsi  di più a rifuggire dai voti insufficienti, spronandoli ad impegnarsi per sfuggire alla frustrazione del fallimento.

Ma funziona davvero così? Quasi sempre, per il noto fenomeno dell’eterogenesi dei fini, i buoni voti  diventano fine a se stessi facendo perdere di vista lo scopo stesso  dell’istruzione, anteponendo, soprattutto da parte delle famiglie, il successo scolastico al successo formativo. Al contrario, i cattivi voti sono correlati al disagio nei casi più lievi, per poi arrivare alla dispersione e  all’abbandono scolastico. Il libro di C. Corsini, nella esauriente  recensione di Flavia Marostica,  rende conto di questi effetti, mentre quello di Summa - De Simone  è focalizzato sulla funzione formativa dell’intero processo di valutazione, a patto che lo stesso diventi parte integrante della didattica come  feedback continuo tra apprendimento e insegnamento e che sia coniugato come  triangolazione della valutazione e autovalutazione dello studente. Un esempio di questi aspetti lo troviamo nel contributo di Patrizio Vignola che parte proprio da quanto previsto nelle Indicazioni Nazionali del 2012 che – è bene precisarlo – si riferiscono  a tutti e due i gradi della scuola del primo ciclo: “Le pratiche di valutazione sono parte integrante del percorso educativo, poiché orientano, sostengono, accompagnano i processi di apprendimento della classe  e supportano l’attività dei docenti”. L’autore riporta un’esperienza realizzata in una quinta della scuola primaria che, in riferimento ad una unità di apprendimento relativa a Tecnologia, si avvale di strumenti di misurazione, elaborati dagli insegnanti,  che consentono un utilizzo “affidato sia al docente stesso che ai singoli alunni, allo scopo di consentire sia l’espressione condivisa di osservazioni non solo sui processi ma anche sui prodotti dell’attività ed al fine di favorire il confronto ed il dialogo tra la classe e l’insegnante, mantenendo sempre viva la relazione formativa”. Si tratta, come è agevole comprendere, di una  concezione della trasparenza effettivamente praticata e che, anzi, diventa un potente integratore metodologico e didattico.

Ma questo sguardo sulla valutazione continuerà anche nei prossimi numeri della rivista perché riteniamo che vada messa in discussione tutta la concezione del processo valutativo nella scuola italiana che – manco a dirlo – tradisce perfino gli stessi dettati normativi, oltre a tutte le più accreditate teorie dell’apprendimento e agli esiti dei più recenti studi pedagogici. Si tratta, infatti, non tanto di  sostituire i voti con i giudizi come, peraltro, già prevede l’O.M. n. 172/2020 per la scuola primaria se – contestualmente – non si cambia l’oggetto stesso della valutazione spostando il focus dal prodotto/prestazione al processo/sviluppo e, soprattutto, dall’oggettività alla soggettività della valutazione. Quest’ultimo aspetto è fondamentale per consentire allo studente di prendere consapevolezza  delle proprie capacità  in ambito scolastico perché è proprio questo atteggiamento di responsabilità personale  che influenza le prestazioni, consentendo di gestire frustrazioni e fallimenti,  ansie  e preoccupazioni incanalandoli  positivamente per migliorare se stessi. La formazione della persona avviene proprio attraverso processi di autoregolazione il cui scopo è proprio quello di assumere contezza della propria identità. D’altro canto, l’autovalutazione del docente può soltanto contribuire a migliorare l’insegnamento, poiché ci si prende cura contemporaneamente della propria professionalità e della crescita autentica dei propri alunni. Insomma, si tratta di passare dalla valutazione anestetica a quella estetica, come ci suggerisce Ken Robinson in un famosissimo TED (Technology Entertainment Design) rinvenibile in rete con il titolo  Cambiare i paradigmi dell’educazione.

In questa prospettiva, la valutazione non è considerata dall’insegnante come lo strumento di incentivi e punizioni  per far diventare bravi gli studenti, bensì come leva per svilupparne l’intelligenza e i talenti, padroneggiando il proprio mondo emotivo e orientandosi per trovare il proprio posto nel mondo. E, infatti, in questa logica abbiamo voluto collocare  ben tre contributi sull’orientamento.

Così  Andrea Porcarelli, prendendo spunto dal  D. M. n. 328 del 22 dicembre 2022, recante Linee guida per l’orientamento, afferma che  “Una didattica orientativa che si muova in tale direzione è chiamata a valorizzare al massimo ciò che proviene dai mondi vitali degli allievi, esperienze e talenti (in primo luogo), ma anche paure e incertezze che si confrontano con gli strumenti culturali che la scuola offre loro per crescere. Le linee guida sottolineano anche l’importanza, soprattutto nella scuola superiore (in adolescenza) di avere una realistica consapevolezza delle proprie competenze, al fine di poter assumere decisioni ben fondate su una significativa conoscenza di sé. Interessante è anche l’idea di considerare la certificazione delle competenze quale strumento per l’orientamento, ma tale affermazione pone un problema pedagogico… sulla scelta di modelli di certificazione in grado di andare oltre la dimensione di tipo burocratico-compilativo di quelli ministeriali attualmente in essere”.

Il taglio operativo, sempre in tema di orientamento inteso non soltanto sotto il profilo scolastico e professionale, viene privilegiato  in due contributi: quello di Marco Pellizzoni che propone un’UdA focalizzata su un’attività di orientamento che vede protagonisti  sia gli studenti di un istituto di istruzione di 2° grado che quelli delle scuole secondarie di 1° grado che risponde alla necessità di confrontarsi e supportarsi tra pari e quello di Primula Lucarelli  che riporta l’esperienza  di una rete verticale, tra i due diversi gradi di scuola, che si è rivelata efficace nel rafforzare la motivazione ad apprendere, responsabilizzando  gli studenti come peer educator. Concludiamo questo editoriale con un riferimento esplicito al contributo medico-scientifico di P. Schildkraut che, prendendo spunto dalle drammatiche cronache dell’estate appena trascorsa che vedono protagonisti proprio gli adolescenti, attori e vittime di atti di violenza, ci fa un quadro   di cosa comporti l’essere adolescenti oggi: affrontare le sfide di un corpo che cresce e deve rispecchiarsi nei modelli estetici dominanti e sempre più inarrivabili; confrontarsi con il mondo degli adulti sempre più disorientati e, contemporaneamente, con i pari sempre più influenzati da sottoculture territoriali e globali (si pensi ai potenti mezzi visivi utilizzati dai social media); orientarsi in un mondo che l’accelerazione della globalizzazione rende sempre più ambiguo, incerto e  minaccioso. 

 

 

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